domenica 7 dicembre 2014

Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro.Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite.
 

- Mark Twain

mercoledì 3 dicembre 2014

Girare il mondo è bello, ma mai quanto tornare a casa.

- Roberto Saviano

domenica 30 novembre 2014

Il cuore umano è come un uccello notturno. Attende in silenzio qualcosa e, quando viene il momento, vola dritto in quella direzione.

- Murakami Haruki, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio

giovedì 27 novembre 2014

Nella vita di tutti noi ci sono cose troppo complesse per essere spiegate, in qualsiasi lingua.
- Murakami Haruki, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio

lunedì 24 novembre 2014

Nel più profondo del suo spirito, Tazaki Tsukuru capì. A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancor più intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c'è pace esente da grida di dolore, non c'è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c'è accettazione che non nasca da una perdita. Perchè alla radice della vera armonia ci sono dolore, sangue e perdite.

- Murakami Haruki, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio

mercoledì 19 novembre 2014

Il filosofo impara dalla vita, non dai libri, però, per capire veramente un filosofo, bisogna sapere a quale filosofo ha reagito.

- Sossio Giametta

domenica 16 novembre 2014

Problemi matematici su Facebook

Dopo aver selezionato le informazioni che comparivano nelle home di milioni di utenti per verificarne l'effetto manipolatorio sul loro umore (non sto scherzando, se non ne avete mai sentito parlare, buttate un occhio QUI), Facebook si è ora buttato in un nuovo progetto finalizzato alla prevenzione della demenza senile e al mantenimento delle capacità cognitive degli utenti, notevolmente appiattite dallo smodato uso di mi piace e condivisioni di stati preconfezionati allegati a immagini.
La strategia scelta dal Social Network per raggiungere questo ambizioso scopo è quella di inserire, in maniera mascherata nemmeno troppo bene, piccoli problemini matematici che compaiono in home con immagini e parole destinate ad attirare l'attenzione dell'ignaro utente.
Potete trovare a lato uno di questi problemini.
Il testo, che compare cliccando su "scoprire", è il seguente:

"Stefano ha 44 anni, una visibile calvizie, l'alito cattivo quando si sveglia al mattino e una pancetta fastidiosa dovuta ad anni passati a mangiare junk food sdraiato sul divano davanti alla tivvì. Sotto minaccia della moglie, investe 5900 euri in delle pastiglie dal nome altisonante spacciate come miracolose e si iscrive ad un sito di ragazzine ProAna, arrivando a perdere 22 Kg.
Quanti Kg avrebbe perso Stefano se, anzichè minacciarlo, la moglie lo avesse lasciato facendosi prima scoprire a letto con il suo migliore amico? E quanti Kg avrebbe perso se avesse avuto 34 anni (quindi un metabolismo meno rallentato e meno anni di accumulo da junk food) e non si fosse iscritto al sito ProAna? Quanto potrebbe pagare di alimenti alla moglie nel caso decidesse di lasciarla per iniziare una relazione sentimentale con una ragazzina di 17 anni con velleità da anoressica (destinate a rimanere tali)? Quanti anni di galera rischierebbe se la ragazzina proana, una volta scaricata per tentare di far funzionare il matrimonio (dopo aver fatto due conti sui possibili alimenti da pagare alla moglie), lo andasse a denunciare sostenendo di aver avuto rapporti sessuali non consenzienti? E quanti altri Kg potrebbe perdere, in questo caso?"

giovedì 13 novembre 2014

È sciocco preoccuparsi del problema della fame nel mondo e non avere poi alcun interesse ad agire attivamente, in prima persona, per contrastare questo dramma. Le nostre scelte alimentari rappresentano uno dei passi che possiamo fare per dimostrarci veramente sensibili e per andare contro l'ipocrisia in cui vive la gran parte dei ricchi europei e americani: apparentemente preoccupati dai problemi del mondo, ma alla fine mai interessati a fare qualcosa di concreto per risolverli. Sembra che l'occidente medio sia impegnato in una folle corsa verso il lusso, verso l'eccesso; non si tratta solo di automobili o ville miliardarie, il lusso è rappresentato anche dall'inutile spreco di risorse planetarie, che , purtroppo, sono limitate e spesso prossime all'esaurimento (petrolio e acqua in primis).

- Autori Vari, La Cucina Etica

domenica 9 novembre 2014

Vidi un gran televisore a colori e uno che dalla poltrona gli sparava contro con un pistolino nero, e lo colpiva, perché lo schermo cambiava immagine cercando forse di piacere di più, o di mimetizzarsi. Poi ebbi una visione, come l’esplosione di un altissimo fungo atomico di cretineria e le scorie ricadevano su ogni punto del nostro paese, affollate metropoli e sperdute lande, e l’effetto era un rincoglionimento totale, cosmico, indescrivibile. Nessuno aveva ancora capito che quell’elettrodomestico lì era il balcone dei beniti futuri.

- Stefano Benni, Saltatempo 

giovedì 6 novembre 2014

Inerme e impotente, dovetti essere testimone della inconcepibile ricaduta dell'umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata e che risorgeva invece col suo potente e programmatico dogma dell'anti-umanità.

- S. Zweig, Il mondo di ieri

lunedì 3 novembre 2014

A proposito di galline ovaiole...

In uno dei maggiori allevamenti italiani, ogni settimana, vengono trinciati 260mila pulcini maschi, per un totale di venti tonnellate di "residui" a settimana. L'equivalente di due camion per volta (queste cifre si riferiscono all'anno 2001).

- Autori Vari, La cucina etica

venerdì 31 ottobre 2014

La gelosia - Tsukuru lo imparò da quel sogno - è la prigione più avvilente che ci sia al mondo. Perché è una prigione nella quale l'individuo si rinchiude da solo. Non ci viene spinto a forza da qualcuno. Ci entra di sua spontanea volontà, chiude la porta a chiave dall'interno e getta la chiave dalla finestra, al di là delle sbarre. E nessuno sa che lui è incarcerato lì dentro. Naturalmente se volesse potrebbe andarsene. Perché quelle sbarre di ferro si trovano nel suo cuore. Ma non riesce a farlo. Il suo cuore è diventato duro come un muro di pietra. Questa è la natura della gelosia.

- Murakami Haruki, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio.

mercoledì 22 ottobre 2014


La vera compassione sta nel fatto di non calpestare la dignità altrui. Questo, almeno, è quello che penso io.

- N. Higashida, Il motivo per cui salto.

domenica 19 ottobre 2014

"La mia solitudine non dipende dalla presenza o assenza di persone; al contrario, io odio chi ruba la mia solitudine, senza, in cambio, offrirmi una vera compagnia"

- F. Nietzsche

martedì 14 ottobre 2014

Italy in a Day


La scorsa sera ho accidentalmente scoperto l'acqua calda. Mi stavo preparando a guardare La dolce vita di Fellini quando, smanettando con la tv, sono inciampata nel documentario Italy in a Day, iniziato da un'ora. Indecisa tra il guardarlo, anche se tagliato, o rimandarne la visione, ho preferito non perdere la possibilità spinta dal timore di non riuscire più a metterci le mani sopra.
La mia ignoranza derivava dal fatto che durante i mesi in cui il documentario è stato pubblicizzato e preparato, io ero stata privata della mia vita e della mia libertà da qualcosa di più grande.
Se non fosse stato per C. io probabilmente non avrei nemmeno capito a cosa mi trovavo di fronte.
Mentre lui mi spiegava di questo diario collettivo, ho ripensato al noto Life in a Day, che non ho mai visto ma, ricordo bene, aveva prodotto un certo stato di invasamento nel mio ex.
Da brava feticista di esseri umani, non ho saputo dire di no.
Penso sia lecito domandarsi quanto un prodotto del genere rischi di solleticare esigenze voyeuristiche, ma trovo che questo compito venga eccellentemente svolto già da Facebook e che al confronto, dare una piccolissima occhiata a un frammento di vita altrui, sia ben poca cosa.
La parola più adatta a descrivere questo documentario è, a mio parere, "toccante". In ogni sua parte. Dalla dottoressa che parla della morte, alla bambina che stringe forte la sorellina appena nata (vedi foto sotto), ai ragazzini che vanno in discoteca, a chi in discoteca non ci va perchè proprio non ci vede un senso. Ogni spezzone è un contatto umano diverso dalla passiva visione di un film perchè reale e, spesso, diretto a noi. La risposta empatica ad ogni singolo protagonista nasce spontanea. Ciascuno di loro ha cercato di immortalare e passare a noi frammenti di vita in cui emergevano, in proporzione variabile da persona a persona, ciò che pensavano, provavano, facevano nella vita, erano o amavano. Si salta quindi da monologhi sui massimi sistemi a riprese del cielo.
Da provare.


"Sai cos'è la paura?"
"No"
"E sai cos'è l'amore?"
"... no"

venerdì 3 ottobre 2014

 Spoiler

Oh, è una ben più dura battaglia di quella che lui un tempo sperava.
Anche vecchi uomini di guerra preferirebbero non provare. Perché può essere bello morire all'aria libera, nel furore della mischia, col proprio corpo ancora giovane e sano, fra trionfali echi di tromba; più triste è certo morire di ferita, dopo lunghe pene, in un camerone d'ospedale; più melanconico ancora finire nel letto domestico, in mezzo ad affettuosi lamenti, luci fioche e bottiglie di medicine. Ma nulla è più difficile che morire in un paese estraneo ed ignoto, sul generico letto di una locanda, vecchi e imbruttiti, senza lasciare nessuno al mondo.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

lunedì 29 settembre 2014

Spoiler

 Spoiler

Solo allora lo colpì, con dolorosa risonanza dell'animo, il ricordo del lontanissimo giorno in cui per la prima volta egli era salito alla Fortezza, dell'incontro col capitano Ortiz, proprio nello stesso punto della valle, della sua ansia di parlare con una persona amica, dell'imbarazzante dialogo attraverso il burrone.
Esattamente come in quel giorno, pensò, con la differenza che le parti erano cambiate e che adesso era lui, Drogo, il vecchio capitano che saliva per la centesima volta alla Fortezza Bastiani, mentre il tenente nuovo era un certo Moro, persona sconosciuta. Capì Drogo come un'intera generazione si fosse in quel  frattempo esaurita, come lui fosse giunto al di là del culmine della vita, dalla parte dei vecchi, dove in quel giorno remoto gli era parso di trovare Ortiz. E a più di quarant'anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo nel mondo, Giovanni si guardava attorno sgomento, sentendo declinate il proprio destino.
Vedeva roccioni incrostati di cespugli, canaloni umidi, lontanissime creste nude accavallantisi nel cielo, l'impassibile faccia delle montagne; e dall'altra parte della valle quel tenente nuovo, timido e spaesato, che si illudeva certo di non restare alla fortezza che per pochi mesi, e sognava una brillante carriera, gloriosi fatti d'arme, romantici amori.
- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

sabato 27 settembre 2014

 Spoiler

In una bellissima mattina di settembre ancora una volta Drogo, il capitano Giovanno Drogo, risale a cavallo la ripida strada che dalla pianura mena alla Fortezza Bastiani. Ha avuto un mese di licenza, ma dopo venti giorni già se ne ritorna; la città gli è ormai diventata completamente estranea, i vecchi amici hanno fatto strada, occupano posizioni importanti e lo salutano frettolosamente come un ufficiale qualsiasi. Anche la sua casa, che pure Drogo continua ad amare, gli riempie l'animo, quando lui ci ritorna, di una pena difficile da dire.
La casa è quasi ogni volta deserta, la stanza della mamma è vuota per sempre, i fratelli sono perennemente in giro, uno si è sposato e abita in una diversa città, un altro continua a viaggiare, nelle sale non ci sono più segni di vita familiare, le voci risuonano esageratamente, e aprire le finestre al sole non basta.
Così Drogo ancora una volta risale la valle della Fortezza ed ha quindici anni da vivere in meno. Purtroppo egli non si sente gran che cambiato, il tempo è fuggito tanto velocemente che l'animo non è riuscito a invecchiare. E per quanto l'orgasmo scuro delle ore che passano si faccia ogni giorno più grande, Drogo si ostina nella illusione che l'importante sia ancora da cominciare. Giovanni aspetta paziente la sua ora che non è mai venuta, non pensa che il futuro si è terribilmente accorciato, non è più come una volta quando il tempo avvenire gli poteva sembrare un periodo immenso, una ricchezza inesauribile che non si rischiava niente a sperperare.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

mercoledì 24 settembre 2014

A poco a poco la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si rese conto che gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sè una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

lunedì 22 settembre 2014

"Andiamo in giardino un momento?" propose infine la ragazza non sapendo più cosa dire. "Il sole deve essere calato."
Si alzarono dal divano. Lei taceva, come aspettando che Drogo le parlasse, e lo guardava forse con un residuo di amore. Ma il pensiero di Giovanni, alla vista del giardino, volò ai magri prati che contornavano la Fortezza, anche lassù stava per giungere la dolce stagione, coraggiose erbette spuntavano fra i sassi. Proprio in quei giorni, centinaia di anni prima, erano forse arrivati i Tartari. Drogo disse: "Fa già un bel caldo per essere aprile. Vedrai che torna a piovere."
Proprio così disse, e Maria fece un piccolo sorriso desolato. "Si, fa troppo caldo" rispose con voce atona, ed entrambi si accorsero che tutto era finito.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

domenica 21 settembre 2014

La ragione è che Filimore ha già aspettato troppo, e a una certa età sperare costa grande fatica, non si ritrova più la fede di quando si aveva venti anni.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

giovedì 18 settembre 2014

Pensò di essere nel mondo dell'aldilà, apparentemente identico al nostro, solo che le belle cose si avverano secondo i giusti desideri e dopo essere stati soddisfatti si rimane con l'animo in pace, non come quaggiù dove c'è sempre qualche cosa che avvelena anche le giornate migliori.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

domenica 14 settembre 2014

venerdì 12 settembre 2014

Quasi due anni dopo Giovanni Drogo dormiva una notte nella sua camera della Fortezza. Ventidue mesi erano passati senza portare niente di nuovo e lui era rimasto fermo ad aspettare, come se la vita dovesse avere per lui una speciale indulgenza. Eppure ventidue mesi sono lunghi e possono succedere molte cose: c'è tempo perché si formino nuove famiglie, nascano bambini e incomincino anche a parlare, perché una grande casa sorga dove prima c'era soltanto prato, perché una bella donna invecchi e nessuno più la desideri, perché una malattia, anche delle più lunghe, si prepari (e intanto l'uomo continua a vivere spensierato), consumi lentamente il corpo, si ritiri per brevi parvenze di guarigione, riprenda più dal fondo, succhiando le ultime speranze, rimane ancora tempo perché il morto sia sepolto e dimenticato, perché il figlio sia di nuovo capace di ridere e alla sera conduca le ragazze nei viali, e inconsapevole, lungo le cancellate del cimitero. L'esistenza di Drogo invece si era come fermata. La stessa giornata, con le identiche cose, si era ripetuta centinaia di volte senza fare un passo innanzi. Il fiume del tempo passava sopra la Fortezza, screpolava le mura, trascinava in basso polvere e frammenti di pietra, limava gli scalini e le catene, ma su Drogo passava invano; non era ancora riuscito ad agganciarlo nella sua fuga.
- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

Questioni di (ir)responsabilità


Dopo quasi un mese di discussioni accese sull'argomento, la vicenda di Daniza è giunta ieri al suo (tristissimo) epilogo. L'orsa è "accidentalmente" morta durante la sua cattura a causa dell'anestetico (...).
Daniza non era italiana. Era stata portata qui dalla Slovenia insieme ad altri 9 orsi per via del PROGETTO LIFE URSUS nel 2000, al fine di aumentare la popolazione di orsi bruni nella zona, che si era ridotta drasticamente per ragioni inspiegabili. Nessuno le ha fatto la cortesia di chiederle se fosse intenzionata a partecipare al progetto. Semplicemente è stata catturata e portata qui. Lasciando perdere polemiche sterili sul fatto che tale progetto sia stato finanziato con i soldi dell'Unione Europea, e che quando l'UE ha stanziato fondi per fare le rotonde ho visto rotonde comparire magicamente pure su rettilinei in cui aveva accesso una vietta privata che portava ad una sola casa (devo continuare o al 2+2 ci arrivate anche voi?), questa vicenda, come altre già capitate in passato, mi spingono a riflettere su che idea abbiano le persone e le autorità sugli orsi. Deve esserci qualcosa di profondamente sbagliato se l'idea che abbiamo di un orso rimanda esclusivamente a Winnie the Pooh o a Yoghi, e non trovo altre spiegazioni se non questa, al fatto che un tizio scorgendo una mamma orsa con i propri cuccioli si nasconda dietro un albero a spiarli senza mettere in conto una possibile reazione di protezione/ tutela della prole da parte della madre. Ma parliamo dell'atto in sè, poi: nascondersi dietro ad un albero a spiare dei cuccioli. Una cosa che un predatore, in effetti, non si sognerebbe mai di fare. In genere i predatori corrono verso la preda agitando le zampe e gridando a squarciagola "Shamalaya". Strano che Daniza abbia reagito così. Reazione aggressiva? Sarà. Ma se un'orso, con la sua mole, si è limitata a due graffi e ad un morso (con le conseguenze del caso, si intende, era pur sempre un orso e non un gattino) non mi pare ci siano parole da spendere su questa presunta aggressività.
Si parla tanto di natura e di animali, ma fatti come questo non fanno che alimentare la mia convinzione che l'essere umano non abbia la più pallida idea di cosa natura e animali siano nella realtà, così abituato com'è a piegare tutto e tutti ai propri bisogni, alle proprie esigenze, a viverli come meri accessori utili solo ad arricchire la propria esistenza. Viene meno la capacità di capire che l'altro (in questo caso è un "altro" animale, ma il discorso ha la stessa identica valenza nei rapporti fra esseri umani) non è un oggetto inanimato ma è dotato di emozioni, sentimenti e bisogni che non necessariamente vanno nella nostra stessa direzione. Forse un orso bruno non è l'animale più adatto da avere come vicino di casa. Forse è divertente guardare le strategie di Yoghi per rubare i cestini ai turisti ed è tenero guardare un bambino dormire abbracciato ad un orsacchiotto, ma avere i propri animali sbranati da un orso non è piacevole e vederlo che si avvicina troppo ai centri abitati incute timore. Il punto è che questo tipo di problemantiche andavano preventivate prima dell'inserimento degli animali nella zona e, soprattutto in questo caso, la reazione seguita all'azione dell'orso mi è parsa a dir poco spropositata. Peggio di così si poteva solo andare tutti insieme con i forconi a caccia di Daniza per un linciaggio collettivo.
Si parla di chiedere dimissioni, ci sono forti reazioni di indignazione più che condivisibili, ma la domanda (provocatoria) è cosa un fatto del genere ci lascia, oltre alla possibilità di condividere link scritti da altri su facebook e riempirci la bocca di frasi fatte. Perchè se ci fermiamo a questo, allora anche noi stiamo cadendo nell'uso e consumo dell'altro in cui sono cadute le stesse persone che hanno trattato Daniza come una merce di profitto. Spero invece che questo fatto possa aiutare alcuni ad aprire uno squarcio sul velo delle proprie convinzioni relative agli animali, all'ambiente, al rapporto che abbiamo con loro, a ciò che ci sembra normale e giusto ma la cui normalità e giustizia forse non sono così scontate.

mercoledì 10 settembre 2014

Finalmente Drogo capì e un lento brivido gli camminò nella schiena. Era l'acqua, era, una lontana cascata scrosciante giù per gli spicchi delle rupi vicine. Il vento che faceva oscillare il lunghissimo getto, il misterioso gioco degli echi, il diverso suono delle pietre percosse ne facevano una voce umana, la quale parlava: parole della nostra vita, che si era sempre a un filo dal capire e invece mai.
Non era dunque il soldato che canterellava, non un uomo sensibile al freddo, alle punizioni e all'amore, ma la montagna ostile. Che triste sbaglio, pensò Drogo, forse tutto è così, crediamo che attorno ci siano creature simili a noi e invece non c'è che gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l'amico ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

martedì 9 settembre 2014

Disteso sul lettuccio, fuori dell’alone del lume a petrolio, mentre fantasticava sulla propria vita, Giovanni Drogo invece fu preso improvvisamente dal sonno. E, intanto, proprio quella notte – oh, se l’avesse saputo, forse non avrebbe avuto voglia di dormire – proprio quella notte cominciava per lui l’irreparabile fuga del tempo. 
Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c’è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo.
Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l’impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. 
Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. 
Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell’orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l’una sull’altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. 
Chiudono a un certo punto alle nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa tempo a tornare. Ma Giovanni Drogo in quel momento dormiva ignaro e sorrideva nel sonno come fanno i bambini. 
Passeranno dei giorni prima che Drogo capisca ciò che è successo. Sarà allora, come un risveglio. Si guarderà attorno incredulo; poi sentirà un trepestio di passi sopraggiungenti alle spalle, vedrà la gente, risvegliatasi prima di lui, che corre affannosa e lo sorpassa per arrivare in anticipo. Sentirà il battito del tempo scandire avidamente la vita. Non più alle finestre si affacceranno ridenti figure, ma volti immobili e indifferenti. E se lui domanderà quanta strada rimane, loro faranno sì ancora cenno all’orizzonte, ma senza alcuna bontà e letizia. Intanto i compagni si perderanno di vista, qualcuno rimane indietro sfinito, un altro è fuggito innanzi, oramai non è più che un minuscolo punto all’orizzonte. 
Dietro quel fiume – dirà la gente – ancora dieci chilometri e sarai arrivato. Invece non è mai finita, le giornate si fanno sempre più brevi, i compagni di viaggio più radi, alle finestre stanno apatiche figure pallide che scuotono il capo. 
Fino a che Drogo rimarrà completamente solo e all’orizzonte ecco la striscia di uno smisurato mare immobile, colore di piombo. Oramai sarà stanco, le case lungo la via avranno quasi tutte le finestre chiuse e le rare persone visibili gli risponderanno con un gesto sconsolato: il buono era indietro, molto indietro e lui ci è passato davanti senza sapere. Oh, è troppo tardi ormai per ritornare, dietro a lui si amplia il rombo della moltitudine che lo segue, sospinta dalla stessa illusione, ma ancora invisibile sulla bianca strada deserta.
Giovanni Drogo adesso dorme nell’interno della terza ridotta. Egli sogna e sorride. Per le ultime volte vengono a lui nella notte le dolci immagini di un mondo completamente felice. Guai se potesse vedere se stesso, come sarà un giorno, là dove la strada finisce, fermo sulla riva del mare di piombo, sotto un cielo grigio e uniforme e intorno né una casa né un uomo né un albero, neanche un filo d’erba, tutto così da immemorabile tempo.



- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari

mercoledì 3 settembre 2014

E se le sottilizzazioni del Matti fossero tutte una commedia? Se in realtà, anche dopo i quattro mesi, non lo avessero più lasciato partire? Se con sofistici pretesti regolamentari gli avessero impedito di rivedere la città? Se avesse dovuto rimanere lassù per anni e anni, e in quella stanza, su quel solitario letto, si fosse dovuta consumare la giovinezza? Che ipotesi assurde, si diceva Drogo, rendendosi conto della loro stoltezza, eppure non riusciva a scacciarle, esse dopo poco tornavano a tentarlo, protette dalla solitudine della notte.

- Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari

domenica 31 agosto 2014

La gelosia non è certo una qualità piacevole, ma se non se ne abusa (se unita a una certa moderazione) ha in sè, a parte i suoi inconvenienti, anche qualcosa di commovente.


- M. Kundera, Amori ridicoli.

mercoledì 27 agosto 2014


La verità è eterna. L' uomo può percepirla, non crearla. Quando la sua percezione si sarà affinata al punto di permettergli di contemplare la Verità Assoluta, egli diventerà partecipe di una realtà condivisa da tutti coloro che raggiungono la stessa visione. Le grandi religioni provengono da quella dimensione; i più alti insegnanti spirituali di tutti i tempi hanno parlato da quella prospettiva. Sono le persone materialiste che, guardando il mondo attraverso il filtro delle proprie idee ed emozioni, distorcono ogni cosa, inclusa la religione, con i propri pregiudizi. Gli sforzi dei grandi insegnanti sono sempre volti a riportare l'uomo alle realtà fondamentali ed eterne. Se egli si allontana troppo verso sud, gli dicono di andare a nord; se trasforma in dogma l'andare a nord, allontanandosi troppo in quella direzione, gli dicono che deve andare a sud. Coloro a cui è stato detto di andare a sud litigheranno con quelli a cui è stato detto di andare a nord, ma solo perché entrambi i gruppi non vedono che i loro insegnanti volevano solo aiutarli a trovare l' "equatore spirituale" il centro del loro stesso essere. Questo insegnamento costituisce la vera tradizione della religione ed è solo per questo motivo che i grandi insegnanti si rifanno alle antiche tradizioni.

- swami Kriyananda

domenica 24 agosto 2014

Stranizie


 Avvistata a Locarno da amici... quando dicono che la bici ha una funzione propedeutica per la moto...



venerdì 15 agosto 2014

Ancora Hillman

Hillman è uno psicologo statunitense che ho scoperto tardi, pochi mesi prima della sua scomparsa, grazie ad una persona particolare di cui magari parlerò, più avanti, che ha inconsapevolmente influito molto sulla mia vita. Hillman studiò e portò avanti il pensiero di Jung spingendosi oltre, tanto che alcuni arrivarono a definirlo Hillmaniano più che Junghiano. Poichè sospetto di rivolgere a lui i miei interessi (a tempo imprecisato), arriveranno a pioggia tutta una serie di citazioni che raccatterò qua e là.
Per il momento copioincollo un'intervista di Silvia Ronchey. Mi ha colpito la coerenza. Non ho mai creduto troppo, nella coerenza. L'ho sempre vista come quel terreno arido che si sgretola sotto ai nostri piedi quando la situazione diventa difficile da sostenere. Non la si perde tutta all'improvviso. Frana, pian piano frana. In modo sempre più consistente. Fino a quando il castello delle nostre convinzioni su noi stessi e sul resto del mondo (io farei, io sono, tu sei e tu faresti) finisce a gambe all'aria. Qui potete trovare altri articoli di Silvia Ronchey su Hillman. Qui la pagina de La Stampa da cui ho preso l'articolo.



«Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella sua ultima mail. E così l'ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l'ultima volta nella sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il fantasma di se stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al minimo, quasi mummificato, tutto testa, pura volontà pensante. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un'atroce sofferenza sopportata con quella che gli antichi stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura e dal dolore che traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L'unica cosa che contava era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stay foolish», l'ultimo insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Resta pensante» fino all'ultima soglia dell'essere
Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull'essenza ultima.

«Oh, sì. Morire è l'essenza della vita».

Com'è morire?«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos'è o dov'è il vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di “perdere”. Non c'è perdita in quel senso. C'è la fine dell'ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. E' molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un'enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».

E' una condizione perseguita dai mistici.«Oh sì, dall'induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso è tutto unwillkürlich, involontario. E' accidentale».

Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione.
«Davvero?» [Apre di scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida.]

Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.«E' vero. E' molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola posteri mi rimanda a postea, a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere trasportato adesso».

Perché esisti solo al presente.«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto, quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. Non saprei ora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che vogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il dialogo aperto su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero»

Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage - come la maggior parte di chi si trova nella tua condizione - oppure ciò che riferisci è la verità. E penso che tutti siano affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne parlo continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato. Non voglio uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non cerco di formularla. Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro luogo dal quale posso osservarla. Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose si riflettono in questa introspezione, ma non l'attività essenziale di ciò in cui sono impegnato [ossia l'atto del morire]. Il tempo che mi dò è il qui e ora».

Capisco
«E' molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singola cosa che si realizza durante il giorno. La persona, l'osservazione che ha fatto, l'odore dell'aria in quel momento. E queste cose hanno bisogno di accettazione, di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non ho ancora la parola giusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il dolore».

E il dialogo aiuta a trovarle?«Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempo le persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel vuoto di cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».

Come un risucchio che attira.
«Dev'essere così».

O una condizione di saggezza?«No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell'alchimia. Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questi tempi, il mondo è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae.

Ma non parlavi di vuoto?
«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio. Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe. Ora l'intero processo che sto attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di mostrarsi. Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».

Da dove viene questa consapevolezza?
«Oh, decisamente dal morire».

Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma, come diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «se ci sei tu non c'è la morte, e se c'è la morte non ci sei tu».
«Esatto».Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un'intensificazione del vivere.
«Assolutamente sì, non c'è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina la vita cresce, si esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».

In che senso?
«Orgoglio, arroganza, hybris: attenzione a non peccare contro gli dèi. Mai, in nessuna occasione».

Certo, ma non credo che la tua sia hybris. Credo sia puro coraggio affrontare la morte a occhi aperti. E' raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso. 
«E' prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzato prima. Ha a che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlare prima, una certa decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe stato nel mondo greco».

Capisco a cosa alludi.
«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a decidere. In qualche modo io sarei il loro strumento, non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro a informarmi quand'è il mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono lo strumento classico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da bagno, come Petronio. Ma il fatto è che l'intera cerimonia - perché la definirei così - non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l'idea è immaginabile, dato che ne sto parlando ora. Ma c'è un'altra idea, sempre antica, che in qualche modo contrasta. Primum nil nocere. Primo, non fare del male. [Si tratta del giuramento di Ippocrate.]

E allora, qual è la decisione migliore? che ne pensi?Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: “C'è del fumo in casa? Se non è troppo resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta”. Evidentemente, la tua casa non è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?»

Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c'è fumo nel tuo cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai in considerazione il suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? non hai allenato per tutta la vita il tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?«Oh sì che sono un pagano. E' questo il punto».

E' pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della natura che hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morire che è anche, o anzi è soprattutto un'arte estrema del vivere.
 «Non mi piace definirla un'ars moriendi. E' piuttosto un'arte dello stare in prossimità dell'essere, tenersi più stretti possibili a ciò che è».

giovedì 14 agosto 2014

Che la morte di Robin Williams possa cambiare il nostro approccio alla depressione

Anche se un'inchiesta potesse fornire alcune risposte alle domande che le persone si stanno facendo oggi, la verità è che nessuno di noi saprà mai, anche se avesse lasciato qualcosa di scritto, cosa aveva in mente Robin Williams nei momenti finali della sua vita ricca ed arricchente. Nessuna persona è uguale a un'altra. Nessuna depressione è uguale a un'altra. Ma la sua morte dimostra ancora una volta che la depressione non guarda in faccia alla classe, alla razza, alla professione, alla ricchezza o al talento. Sua moglie, Susan Schneider, ha detto oggi: "Quando sarà ricordato, speriamo che ci si concentrerà non sulla sua morte, ma sugli innumerevoli momenti di gioia e risate che ha regalato a milioni di persone".
È certamente facile richiamare alla memoria i momenti di gioia e di risate. Ogni genitore potrebbe elencare una serie di suoi film da guardare e riguardare perché i propri figli amano guardarli e riguardarli, come fu a casa mia con Mrs Doubtfire. Ma trovo difficile non concentrarmi in qualche modo sulla morte di Robin. Viviamo in una cultura delle celebrità, ci piaccia o meno. Significa che in tutto il mondo nei prossimi giorni le persone parleranno di questo terribile evento, riflettendo non soltanto sulla sua carriera ma sulla realtà della sua malattia, che l'ha portato alla morte. Sarà per sempre ricordato per il suo talento e per le sue qualità comiche, e i film resteranno lì per divertire le generazioni future. Ma spero anche che sarà ricordato come qualcuno la cui morte è stata un altro passo verso un cambiamento davvero necessario nella nostra società, quello del modo di porsi nei confronti della malattia fisica e mentale.
Se avesse avuto un infarto, se avesse perso una lunga battaglia con il cancro, se fosse stato ucciso da una macchina, sarebbe necessario un dibattito del tipo "cosa aggiunge questo allo status delle malattie del cuore, della cura del cancro o della sicurezza nelle strade"? Forse, ma ne dubito. C'è invece ancora bisogno di dibatter sulla depressione come malattia, perché ancora non si capisce fino in fondo che tipo di malattia sia.
Quasi esattamente un anno fa, nella stessa stanza in cui sono seduto ora, ho detto alla mia partner Fiona che onestamente non vedevo più un senso nella vita. Non era la prima volta che lo dicevo, non era la prima volta che mi sentiva dirlo. Cosa intendevo era che la depressione che avevo sentito attanagliarmi nei giorni precedenti aveva raggiunto il suo impatto più spaventoso, rendendomi fisicamente debole, psicologicamente sfinito ed emotivamente disperato. Fiona ne aveva viste abbastanza - almeno una o due volte, o anche di più, nei 35 anni che abbiamo passato assieme - per sapere che era improbabile che portassi quel pensiero alla sua logica conclusione. Né io credo che lo farei mai, anche se ogni volta che qualcuno lo fa, come Robin Williams, ti fa domandare quante volte è sopravvissuto a dei pensieri suicidi prima di soccombere, alla fine.
Sono fortunato perché ho una famiglia che mi supporta e mi capisce, un piccolo numero di buoni amici, e un dottore di cui mi fido. Quando abbiamo parlato, mi ha dato altri anti-depressivi e li ho continuati a prendere da allora, nel periodo di trattamento più lungo della mia vita. Le molte persone che ho incontrato da allora, negli ultimi dodici mesi, non ne hanno idea, e non è qualcosa che direi a meno che non me lo si chieda - ho preso la decisione dopo il mio esaurimento nel 1986, sempre per essere aperto.
Potrei anche avere interrotto i farmaci a un certo punto negli ultimi mesi. Ma tra noi, io e il mio psichiatra, abbiamo deciso di no. Non mi piace essere sotto farmaci, ma è meglio che essere depresso. E l'ultima volta, quando ho smesso dopo tre mesi, sono quasi subito ricaduto in una depressione durissima.
Quindi ho continuato a prendere le pillole per minimizzare l'impatto di quei sentimenti che portano una persona, che per la maggior parte del tempo ha una visione abbastanza positiva del mondo, che ama ridere e fare ridere le persone, pensare e fare pensare le persone, a considerare che la vita non vale davvero la pena di essere vissuta. Aprirmi mi è stato di grande aiuto, lo so. Non so se Robin Williams era aperto con gli altri riguardo alla sua depressione. Ma conosco delle persone in varie fasi della vita che lo trovano impossibile.
Una delle cose che derivano dall'ammettere di avere problemi di salute mentale, e dall'essere un ambasciatore della campagna Time to Change, è che dei perfetti sconosciuti ti vengono a parlare dei loro problemi di salute mentale personali. A un incontro recente a Westminster, mi sono veramente commosso quando Tracey Crouch dei Tory mi ha detto di avere deciso di ammettere apertamente la sua depressione dopo avermi sentito parlare a Radio Kent. Un altro uomo all'incontro ha detto di essersi aperto dopo avermi sentito parlare di depressione in Cornovaglia.
(...)
A quelli tentati oggi di chiedersi i motivi della depressione di Robin Williams, con il suo successo, la sua fama, la ricchezza, la bella casa, la bella famiglia, migliaia di opportunità e meravigliosi momenti passati nella sua vita, per favore, smettetela. Se fosse morto di cancro, vi domandereste per quale motivo si è fatto venire un cancro? Se fosse stato investito, vi domandereste perché è uscito e si è fatto investire?
È venuto il tempo di Time to Change. Perché è tempo di cambiare i nostri atteggiamenti, francamente ancora da medioevo, nei confronti della depressione e delle altre malattie mentali. Un giorno, ci guarderemo indietro e ci chiederemo come è stato possibile credere che la depressione fosse una scelta di stile di vita, da prendere seriamente e discutere solo quando un attore di prima categoria ha deciso di togliersi la vita, e il mondo si è riempito di persone che si dicevano shoccate e intristite.
(...)
Qui è possibile leggere il post intero nella versione originale


Articolo di  preso QUI

lunedì 11 agosto 2014

Il mondo sta impazzendo

... ma noi lo sapevamo già.

In questi giorni sto inciampando in tutta una serie di notizie allucinanti che mi stanno lasciando a dir poco frastornata e mi stanno facendo rimpiangere il mio recente isolamento dal resto della civiltà. Hanno messo una pezza temporanea sullo scambio di embrioni del Pertini. Temporanea perchè prevedo battaglie legali non solo contro il Pertini (che ha la responsabilità di aver rovinato la vita a sei persone) ma tra le due coppie che si contendono i gemelli. Senza contare le conseguenze dell'intera vicenda sui due bambini e sulla qualità delle cure genitoriali che avranno, ovunque essi finiscano. Come fai ad avere il giusto grado di severità con i tuoi figli se hai lo spauracchio che un giorno loro possano rinnegarti come genitore per la tua severità e preferirti il genitore biologico? Come fai a viverti con serenità la tua famiglia con il pensiero che un secondo appello possa distruggerla portando via due componenti? Come fai a stare sereno sapendo i tuoi figli in giro con la possibilità che il genitore biologico spunti dal nulla a dirgli "sono io il tuo genitore vero"? Sto elencando pensieri assolutamente irrazionali ma condivisibilissimi che al loro posto mi farei fino a rodermi l'anima, fino a non dormire più la notte. Cambiamo la prospettiva: come fai a non metterti una pietra al collo lanciandoti in un fiume al pensiero che non solo sei sterile e tenti da anni di avere un figlio, invano (con tutto il dolore e la frustrazione che ne deriva), ma che ti rivolgi ad una clinica coltivando una speranza, ti va male (ancora frustrazione e dolore) e tre mesi dopo vieni a sapere che in realtà i tuoi figli esistono. Solo che sono stati impiantati nel posto sbagliato. E nascono. E vengono tenuti da altri. E tu fatti tuoi, che l'essere genitore biologico non significa nulla, a quanto pare. Non solo il loro tentativo non ha portato a nulla, per loro stessi, ma ha anche portato alla felicità di terzi e ad una sorta di "scippo di embrioni" involontario. Cornuti e mazziati. Questa situazione, con tutti i legali di mezzo e le battaglie per contendersi i bambini, mi richiamano una notissima vicenda passata, ma a quanto pare sempre attuale. Peccato che lì, almeno, c'era una persona onesta ed una colpevole. Qui invece vedo solo vittime.
Oggi sono capitata su questa:


Notare il sorriso tutto denti della vedova allegra. La Taffo ha un senso dell'umorismo decisamente macabro che alcuni (io) possono anche trovare gradevole, ma questa cosa di far diventare il marito un diamante è a dir poco disgustosa. Se voglio qualcosa della persona che amo sempre con me, gli taglio una ciocca di capelli e me la metto in un medaglione con una sua foto, lontano da occhi indiscreti. Faccio un po' fatica a separare il bisogno di avere la persona amata ancora vicino con la necessità di soddisfare la propria vanità. Insomma, la cosa inquietante non è la pubblicità della Taffo in sè (che è pure divertente), ma il fatto che esista un mercato simile...

domenica 10 agosto 2014

Quando la tradizione della grandezza romantica, con il suo repertorio di pazzi, di amanti e di poeti è ridimensionata dall'egualitarismo, demolita dal cinismo accademico o definita delirio di grandezza dalla diagnostica psicoanalitica, allora quel vuoto culturale viene abusivamente occupato dalle star del pop, dagli eroi prefabbricati, dai Batman, e alla società non restano che celebrità fasulle su cui modellare la propria cultura.

 
- James Hillman, Il codice dell'anima 

giovedì 7 agosto 2014

Smettila di preoccuparti se sei grassa. Non sei grassa. O meglio, ogni tanto sei un po' grassa, ma chi se ne frega. Non c'è niente di più noioso e inutile di una donna che si lamenta che la sua pancia è rotonda. Nutri te stessa. Letteralmente. Le persone che meriteranno il tuo amore ti ameranno di più per questo, stellina.
 

- Cheryl Strayed