domenica 31 agosto 2014

La gelosia non è certo una qualità piacevole, ma se non se ne abusa (se unita a una certa moderazione) ha in sè, a parte i suoi inconvenienti, anche qualcosa di commovente.


- M. Kundera, Amori ridicoli.

mercoledì 27 agosto 2014


La verità è eterna. L' uomo può percepirla, non crearla. Quando la sua percezione si sarà affinata al punto di permettergli di contemplare la Verità Assoluta, egli diventerà partecipe di una realtà condivisa da tutti coloro che raggiungono la stessa visione. Le grandi religioni provengono da quella dimensione; i più alti insegnanti spirituali di tutti i tempi hanno parlato da quella prospettiva. Sono le persone materialiste che, guardando il mondo attraverso il filtro delle proprie idee ed emozioni, distorcono ogni cosa, inclusa la religione, con i propri pregiudizi. Gli sforzi dei grandi insegnanti sono sempre volti a riportare l'uomo alle realtà fondamentali ed eterne. Se egli si allontana troppo verso sud, gli dicono di andare a nord; se trasforma in dogma l'andare a nord, allontanandosi troppo in quella direzione, gli dicono che deve andare a sud. Coloro a cui è stato detto di andare a sud litigheranno con quelli a cui è stato detto di andare a nord, ma solo perché entrambi i gruppi non vedono che i loro insegnanti volevano solo aiutarli a trovare l' "equatore spirituale" il centro del loro stesso essere. Questo insegnamento costituisce la vera tradizione della religione ed è solo per questo motivo che i grandi insegnanti si rifanno alle antiche tradizioni.

- swami Kriyananda

domenica 24 agosto 2014

Stranizie


 Avvistata a Locarno da amici... quando dicono che la bici ha una funzione propedeutica per la moto...



venerdì 15 agosto 2014

Ancora Hillman

Hillman è uno psicologo statunitense che ho scoperto tardi, pochi mesi prima della sua scomparsa, grazie ad una persona particolare di cui magari parlerò, più avanti, che ha inconsapevolmente influito molto sulla mia vita. Hillman studiò e portò avanti il pensiero di Jung spingendosi oltre, tanto che alcuni arrivarono a definirlo Hillmaniano più che Junghiano. Poichè sospetto di rivolgere a lui i miei interessi (a tempo imprecisato), arriveranno a pioggia tutta una serie di citazioni che raccatterò qua e là.
Per il momento copioincollo un'intervista di Silvia Ronchey. Mi ha colpito la coerenza. Non ho mai creduto troppo, nella coerenza. L'ho sempre vista come quel terreno arido che si sgretola sotto ai nostri piedi quando la situazione diventa difficile da sostenere. Non la si perde tutta all'improvviso. Frana, pian piano frana. In modo sempre più consistente. Fino a quando il castello delle nostre convinzioni su noi stessi e sul resto del mondo (io farei, io sono, tu sei e tu faresti) finisce a gambe all'aria. Qui potete trovare altri articoli di Silvia Ronchey su Hillman. Qui la pagina de La Stampa da cui ho preso l'articolo.



«Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella sua ultima mail. E così l'ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l'ultima volta nella sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il fantasma di se stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al minimo, quasi mummificato, tutto testa, pura volontà pensante. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un'atroce sofferenza sopportata con quella che gli antichi stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura e dal dolore che traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L'unica cosa che contava era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stay foolish», l'ultimo insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Resta pensante» fino all'ultima soglia dell'essere
Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull'essenza ultima.

«Oh, sì. Morire è l'essenza della vita».

Com'è morire?«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos'è o dov'è il vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di “perdere”. Non c'è perdita in quel senso. C'è la fine dell'ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. E' molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un'enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».

E' una condizione perseguita dai mistici.«Oh sì, dall'induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso è tutto unwillkürlich, involontario. E' accidentale».

Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione.
«Davvero?» [Apre di scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida.]

Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.«E' vero. E' molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola posteri mi rimanda a postea, a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere trasportato adesso».

Perché esisti solo al presente.«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto, quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. Non saprei ora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che vogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il dialogo aperto su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero»

Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage - come la maggior parte di chi si trova nella tua condizione - oppure ciò che riferisci è la verità. E penso che tutti siano affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne parlo continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato. Non voglio uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non cerco di formularla. Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro luogo dal quale posso osservarla. Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose si riflettono in questa introspezione, ma non l'attività essenziale di ciò in cui sono impegnato [ossia l'atto del morire]. Il tempo che mi dò è il qui e ora».

Capisco
«E' molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singola cosa che si realizza durante il giorno. La persona, l'osservazione che ha fatto, l'odore dell'aria in quel momento. E queste cose hanno bisogno di accettazione, di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non ho ancora la parola giusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il dolore».

E il dialogo aiuta a trovarle?«Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempo le persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel vuoto di cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».

Come un risucchio che attira.
«Dev'essere così».

O una condizione di saggezza?«No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell'alchimia. Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questi tempi, il mondo è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae.

Ma non parlavi di vuoto?
«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio. Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe. Ora l'intero processo che sto attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di mostrarsi. Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».

Da dove viene questa consapevolezza?
«Oh, decisamente dal morire».

Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma, come diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «se ci sei tu non c'è la morte, e se c'è la morte non ci sei tu».
«Esatto».Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un'intensificazione del vivere.
«Assolutamente sì, non c'è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina la vita cresce, si esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».

In che senso?
«Orgoglio, arroganza, hybris: attenzione a non peccare contro gli dèi. Mai, in nessuna occasione».

Certo, ma non credo che la tua sia hybris. Credo sia puro coraggio affrontare la morte a occhi aperti. E' raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso. 
«E' prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzato prima. Ha a che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlare prima, una certa decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe stato nel mondo greco».

Capisco a cosa alludi.
«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a decidere. In qualche modo io sarei il loro strumento, non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro a informarmi quand'è il mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono lo strumento classico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da bagno, come Petronio. Ma il fatto è che l'intera cerimonia - perché la definirei così - non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l'idea è immaginabile, dato che ne sto parlando ora. Ma c'è un'altra idea, sempre antica, che in qualche modo contrasta. Primum nil nocere. Primo, non fare del male. [Si tratta del giuramento di Ippocrate.]

E allora, qual è la decisione migliore? che ne pensi?Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: “C'è del fumo in casa? Se non è troppo resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta”. Evidentemente, la tua casa non è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?»

Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c'è fumo nel tuo cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai in considerazione il suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? non hai allenato per tutta la vita il tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?«Oh sì che sono un pagano. E' questo il punto».

E' pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della natura che hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morire che è anche, o anzi è soprattutto un'arte estrema del vivere.
 «Non mi piace definirla un'ars moriendi. E' piuttosto un'arte dello stare in prossimità dell'essere, tenersi più stretti possibili a ciò che è».

giovedì 14 agosto 2014

Che la morte di Robin Williams possa cambiare il nostro approccio alla depressione

Anche se un'inchiesta potesse fornire alcune risposte alle domande che le persone si stanno facendo oggi, la verità è che nessuno di noi saprà mai, anche se avesse lasciato qualcosa di scritto, cosa aveva in mente Robin Williams nei momenti finali della sua vita ricca ed arricchente. Nessuna persona è uguale a un'altra. Nessuna depressione è uguale a un'altra. Ma la sua morte dimostra ancora una volta che la depressione non guarda in faccia alla classe, alla razza, alla professione, alla ricchezza o al talento. Sua moglie, Susan Schneider, ha detto oggi: "Quando sarà ricordato, speriamo che ci si concentrerà non sulla sua morte, ma sugli innumerevoli momenti di gioia e risate che ha regalato a milioni di persone".
È certamente facile richiamare alla memoria i momenti di gioia e di risate. Ogni genitore potrebbe elencare una serie di suoi film da guardare e riguardare perché i propri figli amano guardarli e riguardarli, come fu a casa mia con Mrs Doubtfire. Ma trovo difficile non concentrarmi in qualche modo sulla morte di Robin. Viviamo in una cultura delle celebrità, ci piaccia o meno. Significa che in tutto il mondo nei prossimi giorni le persone parleranno di questo terribile evento, riflettendo non soltanto sulla sua carriera ma sulla realtà della sua malattia, che l'ha portato alla morte. Sarà per sempre ricordato per il suo talento e per le sue qualità comiche, e i film resteranno lì per divertire le generazioni future. Ma spero anche che sarà ricordato come qualcuno la cui morte è stata un altro passo verso un cambiamento davvero necessario nella nostra società, quello del modo di porsi nei confronti della malattia fisica e mentale.
Se avesse avuto un infarto, se avesse perso una lunga battaglia con il cancro, se fosse stato ucciso da una macchina, sarebbe necessario un dibattito del tipo "cosa aggiunge questo allo status delle malattie del cuore, della cura del cancro o della sicurezza nelle strade"? Forse, ma ne dubito. C'è invece ancora bisogno di dibatter sulla depressione come malattia, perché ancora non si capisce fino in fondo che tipo di malattia sia.
Quasi esattamente un anno fa, nella stessa stanza in cui sono seduto ora, ho detto alla mia partner Fiona che onestamente non vedevo più un senso nella vita. Non era la prima volta che lo dicevo, non era la prima volta che mi sentiva dirlo. Cosa intendevo era che la depressione che avevo sentito attanagliarmi nei giorni precedenti aveva raggiunto il suo impatto più spaventoso, rendendomi fisicamente debole, psicologicamente sfinito ed emotivamente disperato. Fiona ne aveva viste abbastanza - almeno una o due volte, o anche di più, nei 35 anni che abbiamo passato assieme - per sapere che era improbabile che portassi quel pensiero alla sua logica conclusione. Né io credo che lo farei mai, anche se ogni volta che qualcuno lo fa, come Robin Williams, ti fa domandare quante volte è sopravvissuto a dei pensieri suicidi prima di soccombere, alla fine.
Sono fortunato perché ho una famiglia che mi supporta e mi capisce, un piccolo numero di buoni amici, e un dottore di cui mi fido. Quando abbiamo parlato, mi ha dato altri anti-depressivi e li ho continuati a prendere da allora, nel periodo di trattamento più lungo della mia vita. Le molte persone che ho incontrato da allora, negli ultimi dodici mesi, non ne hanno idea, e non è qualcosa che direi a meno che non me lo si chieda - ho preso la decisione dopo il mio esaurimento nel 1986, sempre per essere aperto.
Potrei anche avere interrotto i farmaci a un certo punto negli ultimi mesi. Ma tra noi, io e il mio psichiatra, abbiamo deciso di no. Non mi piace essere sotto farmaci, ma è meglio che essere depresso. E l'ultima volta, quando ho smesso dopo tre mesi, sono quasi subito ricaduto in una depressione durissima.
Quindi ho continuato a prendere le pillole per minimizzare l'impatto di quei sentimenti che portano una persona, che per la maggior parte del tempo ha una visione abbastanza positiva del mondo, che ama ridere e fare ridere le persone, pensare e fare pensare le persone, a considerare che la vita non vale davvero la pena di essere vissuta. Aprirmi mi è stato di grande aiuto, lo so. Non so se Robin Williams era aperto con gli altri riguardo alla sua depressione. Ma conosco delle persone in varie fasi della vita che lo trovano impossibile.
Una delle cose che derivano dall'ammettere di avere problemi di salute mentale, e dall'essere un ambasciatore della campagna Time to Change, è che dei perfetti sconosciuti ti vengono a parlare dei loro problemi di salute mentale personali. A un incontro recente a Westminster, mi sono veramente commosso quando Tracey Crouch dei Tory mi ha detto di avere deciso di ammettere apertamente la sua depressione dopo avermi sentito parlare a Radio Kent. Un altro uomo all'incontro ha detto di essersi aperto dopo avermi sentito parlare di depressione in Cornovaglia.
(...)
A quelli tentati oggi di chiedersi i motivi della depressione di Robin Williams, con il suo successo, la sua fama, la ricchezza, la bella casa, la bella famiglia, migliaia di opportunità e meravigliosi momenti passati nella sua vita, per favore, smettetela. Se fosse morto di cancro, vi domandereste per quale motivo si è fatto venire un cancro? Se fosse stato investito, vi domandereste perché è uscito e si è fatto investire?
È venuto il tempo di Time to Change. Perché è tempo di cambiare i nostri atteggiamenti, francamente ancora da medioevo, nei confronti della depressione e delle altre malattie mentali. Un giorno, ci guarderemo indietro e ci chiederemo come è stato possibile credere che la depressione fosse una scelta di stile di vita, da prendere seriamente e discutere solo quando un attore di prima categoria ha deciso di togliersi la vita, e il mondo si è riempito di persone che si dicevano shoccate e intristite.
(...)
Qui è possibile leggere il post intero nella versione originale


Articolo di  preso QUI

lunedì 11 agosto 2014

Il mondo sta impazzendo

... ma noi lo sapevamo già.

In questi giorni sto inciampando in tutta una serie di notizie allucinanti che mi stanno lasciando a dir poco frastornata e mi stanno facendo rimpiangere il mio recente isolamento dal resto della civiltà. Hanno messo una pezza temporanea sullo scambio di embrioni del Pertini. Temporanea perchè prevedo battaglie legali non solo contro il Pertini (che ha la responsabilità di aver rovinato la vita a sei persone) ma tra le due coppie che si contendono i gemelli. Senza contare le conseguenze dell'intera vicenda sui due bambini e sulla qualità delle cure genitoriali che avranno, ovunque essi finiscano. Come fai ad avere il giusto grado di severità con i tuoi figli se hai lo spauracchio che un giorno loro possano rinnegarti come genitore per la tua severità e preferirti il genitore biologico? Come fai a viverti con serenità la tua famiglia con il pensiero che un secondo appello possa distruggerla portando via due componenti? Come fai a stare sereno sapendo i tuoi figli in giro con la possibilità che il genitore biologico spunti dal nulla a dirgli "sono io il tuo genitore vero"? Sto elencando pensieri assolutamente irrazionali ma condivisibilissimi che al loro posto mi farei fino a rodermi l'anima, fino a non dormire più la notte. Cambiamo la prospettiva: come fai a non metterti una pietra al collo lanciandoti in un fiume al pensiero che non solo sei sterile e tenti da anni di avere un figlio, invano (con tutto il dolore e la frustrazione che ne deriva), ma che ti rivolgi ad una clinica coltivando una speranza, ti va male (ancora frustrazione e dolore) e tre mesi dopo vieni a sapere che in realtà i tuoi figli esistono. Solo che sono stati impiantati nel posto sbagliato. E nascono. E vengono tenuti da altri. E tu fatti tuoi, che l'essere genitore biologico non significa nulla, a quanto pare. Non solo il loro tentativo non ha portato a nulla, per loro stessi, ma ha anche portato alla felicità di terzi e ad una sorta di "scippo di embrioni" involontario. Cornuti e mazziati. Questa situazione, con tutti i legali di mezzo e le battaglie per contendersi i bambini, mi richiamano una notissima vicenda passata, ma a quanto pare sempre attuale. Peccato che lì, almeno, c'era una persona onesta ed una colpevole. Qui invece vedo solo vittime.
Oggi sono capitata su questa:


Notare il sorriso tutto denti della vedova allegra. La Taffo ha un senso dell'umorismo decisamente macabro che alcuni (io) possono anche trovare gradevole, ma questa cosa di far diventare il marito un diamante è a dir poco disgustosa. Se voglio qualcosa della persona che amo sempre con me, gli taglio una ciocca di capelli e me la metto in un medaglione con una sua foto, lontano da occhi indiscreti. Faccio un po' fatica a separare il bisogno di avere la persona amata ancora vicino con la necessità di soddisfare la propria vanità. Insomma, la cosa inquietante non è la pubblicità della Taffo in sè (che è pure divertente), ma il fatto che esista un mercato simile...

domenica 10 agosto 2014

Quando la tradizione della grandezza romantica, con il suo repertorio di pazzi, di amanti e di poeti è ridimensionata dall'egualitarismo, demolita dal cinismo accademico o definita delirio di grandezza dalla diagnostica psicoanalitica, allora quel vuoto culturale viene abusivamente occupato dalle star del pop, dagli eroi prefabbricati, dai Batman, e alla società non restano che celebrità fasulle su cui modellare la propria cultura.

 
- James Hillman, Il codice dell'anima 

giovedì 7 agosto 2014

Smettila di preoccuparti se sei grassa. Non sei grassa. O meglio, ogni tanto sei un po' grassa, ma chi se ne frega. Non c'è niente di più noioso e inutile di una donna che si lamenta che la sua pancia è rotonda. Nutri te stessa. Letteralmente. Le persone che meriteranno il tuo amore ti ameranno di più per questo, stellina.
 

- Cheryl Strayed