lunedì 19 ottobre 2015

Corsi in miracoli...

Ovvero tutto ciò che mi circonda non ha alcun senso.

Qualche anno fa un mio caro amico con una spiccata curiosità verso il mondo mi parlò di un libro che, ad oggi, aspetta ancora fra i miei scaffali. Il libro in questione si chiama A course in Miracles ed ha una storia ben strana. Parte tutto da una psicologa che, di punto in bianco, comincia a sentire una voce insistente ripetere, nella sua testa: This is a course in miracles, please take notes. Passano quasi sette anni prima che lei si decida a trascrivere ciò che la voce interiore le dice.
A detta del mio amico, il corso opera un decondizionamento e la sua lettura non è impresa semplice, perchè arrivati ad un certo punto si creano delle resistenze talmente forti da causare, spesso e volentieri, un'interruzione.
A course in Miracles. Chissà se un giorno ti leggerò veramente, o se rimarrai lì a prendere polvere fino a quando non verrai rivenduto o regalato...
Quando l'ho avuto fra le mani, in verità, una sbirciatina al libro l'ho data. È diviso in lezioni che devono essere portate avanti anche per diversi giorni (la fretta è nemica dei cambiamenti reali così come delle cose ben fatte).
La prima lezione - se non ricordo male - consisteva nel prendersi del tempo, osservare la realtà intorno a sè e ripetersi che non aveva alcun senso. Non ha senso questa stanza in cui sono. Non ha senso lo schermo che sto osservando ora. Non ha senso scrivere parole su uno schermo. Non ha senso l'apparecchio elettronico alla mia sinistra, che uso per comunicare col resto del mondo. Non ha senso nemmeno comunicare col resto del mondo. Ecc.
Mi è rimasta impressa, questa cosa del nonsenso. L'ho sempre trovata molto vera. La costruzione di significati passa dalla nostra esperienza della realtà, dal nostro rapporto con gli altri, dalla comunità sociale in cui siamo inseriti. Dal nonsenso proveniamo e nel nonsenso continuiamo a esistere, solo che non riusciamo più a rendercene conto. Siamo intossicati di significati che crediamo assoluti ma sono puramente arbitrari.
Ci sono giornate, come questa, in cui la realtà mi pare tanto densa di nonsenso da poterlo toccare. Giornate di full immersion nell'autismo in cui poi, scontrandomi con la vita degli altri, la vedo solo stonata e priva di senso... A volte mi sento spaccata fra due mondi così diversi e inconciliabili, sento che la mia realtà non è quella di tutti gli altri. I miei bambini sono sempre con me. Anche quando non ci sono. Sono con me quando guardo i miei coetanei, a 30 anni suonati, passare il sabato sera a fare foto con smorfie per caricarle su Facebook trovandola una cosa estremamente divertente. Sono con me quando il mio migliore amico mi parla di quanto scopa. Sono con me quando esco con un gruppo di conoscenti e l'unico argomento della serata è che cesso stratosferico sia la fidanzata dell'amico X. Sono così tanto con me che la conseguenza diretta è stato un mio progressivo allontanamento da quella parte di mondo così priva di senso e una mia presenza sempre più forte in un mondo popolato da piccoli principi silenziosi, fatine coraggiose che hanno perso la lingua, madri carroarmato e fili di ragnatela a fare da speranza: tanto esili quanto forti e resistenti. Nonostante tutto. Nonostante la realtà del resto del mondo remi contro. Nonostante l'evidenza dei fatti. Speranze a cui aggrapparsi con tutte le proprie forze.
Uno dei compiti più difficili, per un adolescente che si affaccia nel mondo degli adulti, è trovare il proprio posto. Quello che nessuno dice, agli adolescenti, è che una volta diventati adulti - quando lo si diventa, of course - si può anche scoprire che il proprio posto non è nel mondo che avevano sbirciato, ma in un mondo totalmente diverso, carico di significati diversi. Tanto da rendere assolutamente privo di senso e attrattive quell'altro, di mondo.

E ora possiamo passare alla seconda lezione.

Nessun commento:

Posta un commento