lunedì 3 dicembre 2018

Rileggere un libro amato è come tornare in un luogo sacro in cui nulla è cambiato, esperienza per noi ovviamente impossibile perchè il mondo cambia sempre. Se un libro cambia è soltanto perchè siamo cambiati noi e lo affrontiamo in modo diverso, ma è sempre una soddisfazione meravigliosa incontrare di nuovo l'universo di un romanzo come questo e avere la certezza che esistono delle cose belle indifferenti alla brutale e inevitabile azione del tempo. Ecco uno dei regali che dobbiamo all'arte: la sensazione che non tutto è perso, che alcune cose restano perfette e inviolabili.

P. Cameron, Postfazione a Stoner

sabato 15 settembre 2018

Quando si congedarono, sentì che erano estranei in un modo per lui impensabile, e capì di essersi innamorato.

J. Williams, Stoner.

martedì 11 settembre 2018

 Poi sorrise di gioia, come sull'onda di un ricordo: pensò che aveva quasi sessant'anni e avrebbe dovuto essersi lasciato alle spalle la forza di una tale passione, di un tale amore. Ma sapeva di non averlo fatto. Sapeva che non l'avrebbe fatto mai. Oltre il torpore, l'indifferenza, la rimozione, quel l'amore era ancora lì, solido e intenso. Non se n'era mai andato. In gioventù l'aveva dato liberamente, senza pensarci; l'aveva dato a quella conoscenza che gli era stata rivelata - quanti anni prima? - da Archer Sloane. L'aveva dato a Edith, nei primi, ciechi, folli anni del corteggiamento e del matrimonio. E l'aveva dato a Katherine, come se fosse stata la prima volta. Stranamente, l'aveva dato a ogni momento della sua vita, e forse l'aveva dato più pienamente proprio quando non si rendeva conto di farlo.

J. Williams, Stoner.

mercoledì 5 settembre 2018

A Stoner non venne mai in mente che potesse considerarlo più di un semplice professore per cui nutriva grande ammirazione e che, seppur in modo amichevole, l’aiutava un po’ oltre il dovuto. Si considerava un personaggio al limite del ridicolo, per il quale nessuno mai avrebbe potuto nutrire un interesse particolare. Così, quand’ebbe riconosciuto a se stesso i suoi sentimenti per Katharine Driscoll, si preoccupò immediatamente di non far trasparire in alcun modo quello che provava.

J. Williams, Stoner.

venerdì 31 agosto 2018


-- Contiene Spoiler --
Una nuova intimità s’era creata fra loro. Era un’intimità simile all’inizio di un nuovo amore, e quasi senza pensarci, Stoner ne comprese la ragione. Si erano perdonati per il male che si erano fatti l’un l’altra, ed erano rapiti dall’idea di come sarebbe potuta essere la loro vita insieme. Stoner la guardava ormai senza rimpianti. Nella luce morbida del tardo pomeriggio il suo viso sembrava giovane e senza rughe. Se fossi stato più forte, pensava. Se avessi saputo di più. Se avessi potuto comprendere. E alla fine, spietato, pensò: se l’avessi amata di più. Come percorrendo una distanza lunghissima, la sua mano attraversò il lenzuolo che lo copriva e toccò quella di lei. Edith non si mosse; e dopo un po’, Stoner cadde in un sonno profondo.

J. Williams, Stoner.

martedì 28 agosto 2018

Era arrivato ad un'età in cui, con intensità crescente,gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedere se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini ma si chiedeva se anche agli altri essa si presentasse con la stessa forza impersonale.

J. Williams, Stoner.

sabato 25 agosto 2018

A quarantré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l'amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un'altra.

J. Williams, Stoner

giovedì 23 agosto 2018

Stoner

Finalmente l'ho letto. Rimasto per anni nella lista desideri di aNobii, mancato per un pelo al circolo di lettura del paese, sono partita per le ferie con il proposito di leggerlo.

Tempo di lettura: 2 giorni. Divorato.
Esperienza di lettura: coitus interruptus.
Probabilità di rilettura: alta.
Pensieri post lettura: ricorrenti.

Il libro inizia con il decesso di Stoner. Si sa fin dall'inizio dove si andrà a parare. Il personaggio è per la maggior parte del libro passivo: sembra che la vita gli piova addosso, che subisca i fatti che gli capitano senza tentare in alcun modo di intervenire sul loro inevitabile dispiegamento. Si contano le situazioni in cui il personaggio prende una posizione, si esulta e si spera che sì, finalmente è arrivato il momento della svolta, ma puntualmente si viene riportati con i piedi a terra (effetto coitus interruptus sopra citato). Ho pensato tantissimo a Stoner. I primi giorni ne sembravo ossessionata. Ho fatto confronti con altri personaggi e mi sono accorta come i protagonisti siano generalmente persone fuori dall'ordinario e come ciò porti a vedere come insulso, banale, irrilevante un protagonista più "ordinario", seppur nel suo piccolo straordinario - rimane pur sempre un figlio di contadini che arriva a insegnare come professore in università e questa è solo una delle piccole conquiste della sua vita. Il parallelo tra lo Stoner protagonista paragonato agli altri protagonisti e la nostra vita paragonata alla vita proposta dai media è stato inevitabile.
Stoner, anzichè chiamarsi così, avrebbe potuto benissimo chiamarsi "Una vita". Avrebbe reso alla perfezione l'idea di questo personaggio che sembra passare nelle vite di chi gli sta accanto senza lasciare traccia, ma che il segno in chi riesce a vederne la bellezza lo lascia bello profondo.
Alla prima pubblicazione il libro ha fatto pochissime vendite, è stato riscoperto anni dopo la morte dello scrittore, che non ha avuto quindi modo di vederne il successo. L'ennesimo giro a vuoto di questo personaggio, che non ha nemmeno avuto la possibilità di mostrare quanto fosse apprezzato al suo creatore. "E' Stoner", direbbe mio marito. La stessa, identica frase che mi ha detto ogni volta che sollevavo la faccia dal libro con espressione contrita. E' Stoner. Leggetelo.


mercoledì 8 agosto 2018

sabato 19 maggio 2018

Quando a Lugano arrivò il Giappone

Passato lo scoglio dell'esame e rattoppato tutti i buchi lavorativi che mi ero lasciata alle spalle, ho cominciato a mettere ordine nei miei spazi, combattendo i miei trattini da accumulatrice compulsiva.
Ho ritrovato i volantini del Nippon Lugano, un insieme di mostre sul Giappone con tanto di eventi collaterali che si è tenuto da fine 2010 ai primi mesi del 2011. Da anni mi dico che sarà il caso di buttarli ma nulla, continuano a rimanere, come il feticcio di qualcosa di perso che non tornerà più.
Probabilmente ci morirò assieme, ai volantini del Nippon.
Araki
Non ricordo nemmeno come ero venuta a sapere delle mostre. Non lavoravo  nemmeno più in rassegna stampa (il che avrebbe potuto essere una valida ragione per essere a conoscenza del Nippon). Ricordo solo che ad un certo punto della mia vita sono venuta a sapere di questa cosa e ho tentato di fare una di quelle cose molto accollative che piacciono a me, ho raccattato amici e amici di amici per andare a vedere le mostre. Ho foto che testimoniano momenti di felicità (che francamente non ricordo, ma nelle foto avevo un sorriso che sembrava piuttosto autentico).
Alla fine in mezzo ad una valangata di pacchi e a pochi ma buoni, era venuta anche un'amica del mio ex che aveva fatto perdere la testa
pesantemente ad un mio amico e che secondo me era la donna della sua vita - purtroppo non secondo lei, visto che ha fatto una figlia con un altro.
Ho pochissimi ricordi di quelle mostre. Ricordo Araki, che mi aveva letteralmente conquistata.
Ricordo la gatta morta di Araki e l'amica del mio ex che è andata in paranoia dura perchè quelle foto le avevano riportato alla mente la sua gatta morta tipo a 15 anni. Ricordo che alla fine si è messa anche a piangere nonostante fosse passato diverso tempo ed io capivo ma non capivo e non sono per le emozioni manifestate pubblicamente quindi ero anche un po' destabilizzata dalle sue lacrime.
La gatta di Araki
Ma la gatta di Araki, merita delle parole spese. Perchè non era un semplice gatto. La gatta di Araki arrivò in casa sua pochissimo tempo prima che la moglie morisse. Immaginatevi lo strazio di quest'uomo che perde la donna che ama e che rimane con l'unica compagnia di questa gattina. Ci sono tantissime foto che ritraggono la gatta nel corso degli anni. Alla fine la gatta si ammala e muore.
Quando si sceglie di condividere parte della propria vita con un animale domestico si mette già in conto che si sopravviverà a lui e questa consapevolezza, di per sè, non sempre attenua l'impatto traumatico della perdita. Ma sarebbe semplicistico non considerare che gli animali non sono tutti uguali e che spesso gran parte della differenza la fa lo stato in cui siamo o il momento della vita che attraversiamo quando questo animale entra nella nostra vita, più che il temperamento dell'animale stesso. Per questa ragione penso non si possa parlare della perdita della gatta senza considerarla sotto la luce della perdita della donna che Araki amava.
La moglie di Araki
Una cosa che non cesserà mai di stupirmi è come gli animali siano fra loro tutti uguali e, allo stesso tempo, tutti diversi. Ma a questo pezzo  mi riaggancerò tra poco...
Ricordo una passeggiata sul lago. Ricordo che per guardare le mostre ci ho messo una vita, che ne abbiamo viste solo due e che dovevamo tornare a fine febbraio per vedere le altre due mostre.
Alla fine non ci sono tornata. Ci sono andati gli altri, ma io che avevo messo in piedi tutto il teatrino sono rimasta a casa. E' successo che due giorni prima il mio cane cominciasse ad avere sintomi "stranini". Aveva oramai quasi 18 anni e personalmente cominciavo a guardarlo con sospetto, perchè sembrava più uno zombie che un animale da compagnia, per diverse ragioni (alito, deambulazione, incapacità di vedere gli ostacoli, totale indifferenza a ciò che gli veniva detto). Portato dal veterinario il consiglio era stato di sopprimere. Noi abbiamo voluto provare a curarlo. Quindi quella domenica io non ce l'ho fatta. Avrei tanto voluto vedere le mostre che mancavano, ma sono rimasta a casa con lui. Se tornassi indietro, lo rifarei e lo rifarei ancora. Chi se ne frega del Nippon. Ho pianto come una disperata. Certe leggi di natura così scontate sono a conti fatti inaccettabili. E il momento in cui lui era entrato nella mia vita aveva creato QUEL legame. Ero una bambina iperattiva ed esasperante. Era un cucciolo di cane iperattivo ed esasperante. Siamo cresciuti insieme. Fa uno strano effetto a pensarci, ma avere un cane che vive 18 anni significa avere un animale che è cucciolo come te e che, ad un certo punto della tua vita, è adulto come te. Penso sia stato questo a fregarmi. Perchè in realtà lui non era il mio cane, era il cane di famiglia. E se devo dirla tutta era anche un ruffiano opportunista. C'era un'insofferenza di fondo, tra noi due. Eppure...
Alla fine i miei lo hanno fatto sopprimere il giorno dopo. Per questo sono felice di non esserci andata, alle mostre. Anche se lui non ha mai ripreso coscienza. A volte servono il tempo e lo spazio per dire addio, o per cominciare a farlo.
Tengo un ciuffo dei suoi peli. Era un cane di razza uguale identico a tanti altri cani della sua stessa razza.... ma per me era e continua ad essere diversissimo da tutti gli altri... e fatico a guardarli senza avvertire una sorta di disagio di fondo, quasi un fastidio nel dover vedere dei tentativi di copia malriuscita che si permettono di girare così, quasi nulla fosse...


Mi è appena venuto in mente un pensiero un po' sciocco... ossia che, forse, tenermi qua questi opuscoletti è un po' come tenere in pausa un pezzetto della mia vita. Come se alle mostre un po' ci dovessi ancora andare. Come se lui potesse spuntare da un momento all'altro dalla porta finestra ansimando perchè ha rincordo i passanti abbaiando. Poco importa se nel frattempo sono passati quasi 10 anni, se io ho cambiato vita, città, fidanzato, lavoro, colore di capelli e se, per tutta una serie di ragioni altre, ho cambiato anche me stessa. Il potere degli oggetti...

venerdì 27 aprile 2018

Tutti i miei personaggi...

Sto passando un periodo di ritiro dalle scene sociali e reclusione forzata per via di un esame. L'arrivo del caldo non aiuta e la voglia di rimanere chiusa in casa è veramente poca. Ho interrotto le letture di piacere a inizio gennaio. Guardo fuori dalla finestra tra una pagina e l'altra e sospiro. Mi vien voglia di dedicarmi ad altro.
Ritornano tutti i miei personaggi. Tutti quelli che ho amato e - mai lo avrei detto - anche quelli che ho snobbato o guardato sdegnosamente. Mi ritornano alla mente le parole di James Sveck quando dice "Sembrava che tutti fossero in grado di accoppiarsi, di unire le proprie parti in modi piacevoli e fecondi, ma nella mia anatomia e nella mia psiche c'era qualcosa di impercettibilmente diverso che mi divideva in modo irrevocabile dagli altri", il dottor Manhattan quando rivive-rivive- e rivive ancora il passato, il presente e il futuro in quel capitolo di Watchmen - il più bel capitolo di Watchmen - con il disincanto e la rassegnazione di chi sa, Spiegelman e la sua versione topesca di Maus. Già, Maus. Ho fatto arrivare lo speciale e non ho ancora avuto il tempo di guardarlo. Penso sia roba per veri feticisti e ho pensato - l'ho fatto veramente - che fosse una di quelle cose senza prezzo, da avere assolutamente in casa. I pensieri saltano velocemente da un argomento all'altro perchè in questo periodo l'unico vero filo conduttore che dà senso a tutto sono le pagine dei libri che studio. Il resto, il contorno, passa. Appare e viene subito dimenticato.



La faccia di Pif quando il minimalista gli dice che butta le tazze è meravigliosa. Lo sconcerto. Il tic nervoso agli occhi. Rifletteva un po' la mia. Quando ho visto questo episodio ho pensato ad un libro che aveva spopolato in Italia qualche anno fa e che avevo lasciato sul comodino con la promessa di finirlo prima possibile. Questa estate. Questa estate farò tutto. Per il momento mi limito a sognare momenti di ozio fatti di letture e tazze di tè...

Mood of the day...


lunedì 2 aprile 2018

Quando ti dici che nulla è cambiato...

... a 15 anni per fare la ribelle compravi le sigarette di nascosto. Le dividevi con le amiche e le si comprava a turno. Per non essere scopribile da mamma e papà usavi un linguaggio in codice che nemmeno il KGB... le chiamavi "le bionde". Parlavi al telefono con le amiche e con nonchalance lasciavi cadere lì un "allora le bionde le porto io?" passando quasi per una coinvolta in traffici di mignotte dell'est. Passano gli anni e ti ritrovi ai 30. Hai un lavoro, una casa, un gatto psicopatico e un tizio che misteriosamente si ostina a rimanerti a fianco. Insomma un'apparenza di normalità, come quella che avevi a 15 anni. E ancora conservi nel profondo il desiderio di fare quella che delle regole se ne fotte (francesismo voluto). Perchè alla fine, lo sai, resti un'impenitente monella. Le sigarette non le fumi più, ma la notte, anzichè dormire, cazzeggi su internet fino a tardi. Anche se dovresti studiare. Anche se la mattina alle 5 la sveglia suona.

Io sì che sono una vera ribelle.

(malemale, stiam messe male).

venerdì 30 marzo 2018

Pensieri: tanti
Tempo: pochissimo
Sogni nel cassetto: a furia di collezionarne hanno cominciato a debordare e a realizzarsi (quindi il trucco parrebbe essere quello di non smettere mai)
Vita: ah, che bel ricordo